riflette poi Mari, certe fratture dell’ego non le risolvi mai del tutto per quanto volitivamente tu possa
gettarti nella direzione opposta, ed ecco fatto: anche lei si sente come una che ha appena letto una
frase da un prontuario così banale, così senza speranza, così costantemente ripetuto identico in tutti
i pomeriggi di genitori e prole faccia a faccia su di un tavolo da pranzo in salotto. In ogni caso,
macchina ormai ferma cristallizzata sotto casa, Mari a piedi, eddai forza che si va subito in stazione
a rispolverare il praticozzo per l’abbonamento ai mezzi che non viene rinnovato dai tempi degli
esami in sede, e tanti saluti.
Mari è sopraffatta: come può, sua madre, farle questo? Parlarle di sofferenze, di processi, degli
inciampi lungo il cammino. Proprio adesso. E non prima. Ammettere che le cose sono sempre
contorte, sotto le radici visibili, gli alberi che sotto il suolo prendono convoluzioni e serpeggiamenti
d’autonoma esistenza, parassitaria per gli strati della terra, provocano smottamenti invadendoli e
attraversandoli, destabilizzano la natura… adesso e non prima! Prima, quando il suo senso di colpa
s’era fondato sulle proiezioni (demoni!) di quei pochi suoi amici d’infanzia e adolescenza che
l’avevano invidiata, per la stabilità, per l’amore materno, per la casa magari, o per i voti a scuola,
per le lodi che il suo carattere aveva ricevuto, per il viso morbido di guance che concedevano soffici
atterraggi agli sguardi, ammansendoli tutti. E lei l’aveva odiata, tutta ‘sta merda, negata, soprattutto
in quegli aspetti che le precludevano la possibilità di dire a un amico l’unica cosa che avrebbe
voluto poter dire a una persona con questo nome -“sto male e non so perché”, e alla fine Mari
l’aveva detto a ben pochi, in vita sua, di star male, e invece quello che davvero volevano sentirsi
dire, spesso corrispondente al contrario, l’aveva detto, più e più volte -le riconferme, le
riproposizioni, la reiterazione dell’immagine che di lei avevano, e che rispetto a lei, rispetto
all’immagine che lei aveva di sé, era tanto tanto più importante. Mamma, quanti anni ci sono voluti
per ammettere che anche noi siamo di quella specie, anche nel nostro sangue scorre la merda dello
stare a questo mondo come tutti gli altri, e che come tutti gli altri serbiamo i peggio diavoli in vena?
Cheppoi tutta la merda, scorrendo in vena, si riversa nel cervello, ed è da là che principia tutto.
Tutto questo modo di sentirsi.
E le ritornano in mente (stavolta interi, incarnati nella fumigante consistenza del pensiero, non più
effimeri flash di giudizio o d’invasiva lettura dei pensieri intimi), dopo mesi che non le ricapitava,
Pollo e Croce, e il loro progressivo abbruttimento dell’animo e il loro abbattimento psicofisico e i
breakdown a volontà e a lui che era sempre più una capra e a lui che era sempre più un animale
d’altro tipo, un concentrato d’epilessie formato mini e tachicardie; e pensa a una delle ultime volte,
halloween, la prima crisi, poi gli incubi peggiorati sempre più, poi a lei che non ci sta più, non ce la
può fare più, e lo lascia a sbrogliarsi da solo il suo assurdo garbuglio di pensieri acidi, che da parte
di Pollo era troppo una carognata pretendere di poterli affidare a lei, alla sua curativa mano, manco
fosse stata una fata o un’esemplare femminile della refrigerante natura arborea. E allora forse lui
Pollo o Gallo era un uccello di fuoco, sì, un incendio sciaguratamente provvisto di un cervello
inibito e contorto fino al vomito, che aveva atteso, per avvampare, un qualche segnale indiretto dal
mondo, dalle cose che circondandolo e avvicinandoglisi talvolta con mano quasi affettuosa gli
avevano comunicato un via libera all’attacco, intimandogli di colpire proprio quelle cose buone e
vulnerabili che stavano provando a volergli del bene, in tal modo assaltandogli l’invulnerabilità
delle fiamme. E forse non volendo e non sentendo niente di quanto accadeva nel mondo esterno
attorno al suo cammino era riuscito a essere un fuoco, perché l’aveva ferita, perché lei aveva capito
di non dovergli niente anche se odiava di sentirsi pensare queste parole, e di doversi allontanare