Ep3
Un bambino piccolo, forse contagiato da una febbre altamente infettiva, si dirigeva verso la cucina
barcollando nella notte, simile ai pulcinella di mare disegnati sul suo pigiamino di pile celeste
chiaro che al buio pareva fluttuare come una nuvoletta elettrificata, avviluppandolo in una luce
dotata di una strana fioca fosforescenza. I piedi nudi erano tutti gonfi, come se la febbre,
somigliando a una sostanza globulare, scendesse pian piano dalla sommità della fronte per
raggrupparsi lì, e arrossare la pelle, e imbottire le piante e i talloni così da costituire delle naturali
babbucce di gonfiore insensibile al freddo del pavimento nudo, e in tal modo proteggere
premurosamente i passetti altrimenti esposti a tutti i germi che a star scalzi entrano in contatto
diretto… una febbre premurosa, in fondo, preoccupata che il bambino evitasse di prendersi altri
malanni oltre a lei. O forse, per lo stesso motivo, una febbre gelosa: doveva essere la sola a
governargli l’interno del corpo in quel momento. Ma il bambino era intorpidito forse anche in altri
sensi oltre a quello del tatto, e di quella sua febbre che gli faceva venir sete portandolo a svegliarsi
nell’ora in cui tutti quelli come lui (ovvero i bambini piccoli piccoli che portano in petto un iceberg
galleggiante nel Mare del Nord) dormivano profondamente, quasi come separati in un diverso
mondo privo di collegamenti, di quella sua febbre che gli palpitava dentro in maniera lenta e
costante lui percepiva soltanto la premura. Infatti scendendogli dalla fronte fin dentro ai piedi,
sentiva dietro le cavità oculari come il generarsi ininterrotto e laborioso di un fluido piacevole che
andava sgretolandosi in goccioline, diffondendogli nel cranio un alone simile a un sonno carico di
lievi e soffici immagini oniriche. Quindi, anche se un passetto alla volta avanzava in maniera goffa
da uccello artico attraverso il lungo lungo corridoio dell’appartamento che per lui era quasi come un
labirinto enorme, si sentiva riposato. Una bella cosa, questa febbre.
Molte insidie ci sono, in posti come questo -tutti i posti che hanno poltrone, angoli bloccati da
mobili e a un lato opposto angoli liberi in cui s’accumula la polvere, e porte scricchiolanti che non
si chiudono bene e tubature gorgoglianti e tante altre cose che di giorno hanno forme chiare e
definite e quasi radianti, e che quando il buio le sommerge cambiano natura, sembrano moltiplicarsi
le loro cavità, piene di parassiti, cose che possono uscire, fare rumori che spariscono subito, e non si
sa quando riappaiono. Ma lui è coraggioso, ce la fa. Era riuscito ad arrivare in cucina, dove c’era
una luce vasta nonostante le ridotte dimensioni della sorgente, un caricabatterie lasciato attaccato a
una presa pericolosamente poco distante dai potenziali schizzi provenienti dal lavabo. Un occhio
blu sgusciava dalla gobba nera del caricabatterie diffondendo un alone subacqueo sulle superfici
vicine. Il bambino già non aveva più paura, anche mettendo solo il primo passo in cucina, dove
nasceva quel cerchio di luce dall’ampio diametro. Non era però la stessa assenza di paura che
solitamente lo accoglieva assieme alle luci del giorno. Era una tranquillità diversa. Che avrebbe
potuto conoscere, forse, solo svegliandosi proprio a quell’ora. Grazie ancora febbre!, pensava, e
quasi sorridendo guardava il modo stregato in cui quella luce, blu scuro nell’occhio del
caricabatterie ma azzurrina quasi diafana irradiandosi al di fuori, colorava tutte le cose. Il metallo il
legno il tessuto delle presine appese a una gruccia di plastica una patina spolverata di pavimento nel
cui perimetro era un tempo esistita una lettiera per gatti. Tutto diverso. E quell’aura presente nelle
cose, che pareva esser stata risvegliata e chiamata fuori da un invisibile virtuosistico incantatore di
serpenti, s’amalgamava a un’altra che il bambino sapeva essere presente lassù, un po’ al di sopra del
suo campo visivo. Dalla vetrata lunga in orizzontale che stava alta alta in corrispondenza del
lavello, anch’esso di uguale metraggio, poteva comunque avvertire qualcosa, come un venticello, o