Ma veniamo al giorno fatidico. Come già detto, i segnali erano stati numerosi. Qualcosa si
avvicinava, qualcosa stava cambiando. O. si assentava, litigava, spariva a lungo, non rispondeva ai
messaggi. Chiudeva porte. Litigava. Trascurava se stesso e le cose attorno, puzzava, litigava.
Disse, giustificando le sue sparizioni: “mi intralciate”. Non ricordo bene in cosa, forse aveva detto
qualcosa come “siete un ostacolo per la mia crescita”, e intendeva tutti noi. Ripeto, non ricordo le
parole precise, ma ricordo bene la rabbia. Quanti commenti velenosi, da parte degli altri che si
erano sempre ritenuti più svegli di lui, e che forse lo erano, più attenti ai loro progetti, certo:
dicevano che O. era un “rosicone”, che lui stesso aveva ammesso più volte di essersi scelto un
campo di studi che non gli avrebbe mai dato di che vivere, affermandolo tra l’altro con quell’aria
menefreghista così irritante per tutti loro che alzando la voce gli ribattevano sempre: “noi ci
sbattiamo, tu invece…”, “occorre progettualità”, “sei incapace di stare al mondo e te la prendi con
quelli normali”… potete immaginare. Dicevano che quella dell’ostacolo era solo una scusa, che
cominciava a rendersi conto di esser stato inconcludente, che la società va troppo veloce per uno
come lui e che o si cambia o si soccombe. Stando a questa teoria, dunque, O. passava le sue
giornate paralizzato nel panico oppure cercando di rimediare angosciosamente al tempo perso,
immergendosi tutto in qualche progetto senza farsi vedere dagli altri per paura che i loro sguardi
gli annientassero definitivamente quell’insostenibile orgoglio ferito. Ma per quanto palpabili
fossero i pensieri di questo tipo che i coinquilini serbavano nei suoi confronti, per quanto
appesantissero l’aria tanto da rendersi chiaramente visibili come uno smog anche quando non
venivano pronunciati, lui li trascurava, lui sapeva andarsene via e ignorare con una sbuffata o una
forma di sarcasmo, perché ormai trascurava tutto. O. trascurava le sue mansioni. Era sempre stato
preciso su quelle. Non so se fosse consapevole della cosa e la usasse come lasciapassare per farsi
“perdonare” dagli altri l’eterno enigma del suo animo impossibile, frutto di tanti affanni, ma in
ogni caso era così che gli altri la pensavano. In qualche modo erano stati anche d’accordo: si
chiudeva un occhio sul suo carattere e sull’invivibilità a volte malsana che comportava, quando ci
si ricordava di altri coinquilini di cui io avevo sentito parlare soltanto nelle numerose leggende
rocambolesche degli universitari più loquaci -sapete, storie su quella gente che ha rotto
elettrodomestici e compromesso definitivamente l’uso di cucine e bagni in maniere surreali. O. no,
O. era impeccabile, in questo, tutt’al più sarebbe stato lui nella posizione di rimproverare la
sciatteria di alcune faccende sbrigate frettolosamente da noialtri, ma taceva, chissà perché,
riservandosi il disprezzo accumulato soltanto per i momenti più adatti alle frecciatine sarcastiche.
Almeno fino agli ultimi tempi. Sembrava diventare velenoso, e quel veleno che aveva in bocca non
si tratteneva più, non usciva fuori soltanto per dichiarare apertamente, e come se nulla fosse, le sue
antipatie quando c’era da spararle ai diretti interessati nel mezzo delle situazioni più tese, dalle
quali si difendeva in questo modo malsano (credo ancora, in cuor mio, che O. fosse molto fragile).
Urticava, a ogni minima occasione… quello era lo stesso periodo in cui i giorni del calendario
comune segnati col cerchio dei suoi turni avevano cominciato a rimanersene irrisolti, adombrati da
sciami di mosche fluttuanti in circolo. Nessuno vedeva O. uscire dalla sua camera chiusa a chiave
(ovviamente, lui era l’unico a non spartire una camera, privilegio al quale nessuno si oppose sin
dall’inizio: c’era qualcosa di intimidente nella sola idea di condividere una stanza con lui). Non
andrò nel dettaglio riguardo alle discussioni che si susseguirono. Erano riunioni indette senza la
sua partecipazione, e si potrebbe immaginare che dietro quella porta continuasse a far putrefare
nel rancore, o in chissà che altro, le stesse imperscrutabili ragioni che ne avevano fatto un recluso
definitivo, una nazione membra esclusa dai forum in seguito agli scandali delle sue controversie