Stava alludendo a una risposta che Pollo le aveva dato una volta. Mari era un archivio vivente di
cose di cui le persone si sarebbero imbarazzate a sentirsi ripetere, come a ricevere con mani nude
frammenti di specchi deformanti, che fanno sanguinare i palmi e cristallizzano in un vetro spigoloso
un pezzo della propria faccia in un dato momento storico che sarebbe bene lasciar sparire nell’oblio
delle cose eternamente mutevoli. Questa proprietà sconveniente Mari non la nascondeva e la tirava
fuori in più occasioni, in quel caso ricordando a Pollo che, quando lei gli aveva dato del “diligente”
per la sua abitudine di frequentare tutte le lezioni, anche quelle più trascurabili e collocate in orari
scomodi, lui aveva ribattuto: il mio frequentare le lezioni ha lo stesso valore di non frequentarle. La
cosa risultava imbarazzante per Pollo per il tono eccessivamente stridulo e accorato in cui gli era
uscita, del tutto diverso da come sperava di suonare. Quindi, sentendola tirar fuori quel paragone tra
il suo atteggiamento rinunciatario e quello di questo tizio chiamato Croce, si era ricordato dei giorni
seguenti a quella sua risposta stridula e come esagitata nell’intento di volerle dimostrare qualcosa,
un chissàcosa di cui nemmeno lui era certo; giorni in cui molte ore se n’erano andate continuando a
pensare al fatto che Mari aveva forse colto quell’aspetto di lui, e adesso il Pollo che esisteva dentro
Mari era inscindibile dalle implicazioni derivate da quell’impressione, e che quindi non ci sarebbe
stato modo di far convivere il Pollo reale e quell’assurdo Pollo di finzione nella testa di lei, quel
basilisco coi bargigli squamosi e la lingua biforcuta nel becco che, a trovarselo davanti in sogno o
durante una delle sue estenuanti sedute masturbatorie sul conto dei disastri comportati dallo stare in
mezzo agli altri, l’avrebbe all’istante avvelenato e tramutato in pietra. Una pietra, manco a dirlo,
sconveniente: una statua immortalata in una posa brutta.
Comunque, questo “Croce” frequentava il loro stesso ateneo da diversi anni e in quel periodo stava
ancora in una stanza che affacciava su una delle principali traiettorie tradizionalmente usate dagli
studenti per entrare in città universitaria. Era il solo occupante rimasto. Non molto tempo prima
della partenza dei suoi coinquilini era avvenuta la sua trasformazione.
Pollo ricordava con affetto che neanche un’ora dopo averlo conosciuto era già nata una discussione
sul tema del suicidio. Lì per lì, Pollo si era preoccupato della misura in cui aveva lasciato che nella
conversazione fuoriuscisse, più o meno segretamente e in maniera gradualmente più incontrollata,
la sua debolezza, dovuta all’eccesso di nevrastenia nei confronti degli altri. Un argomento che non
gli sarebbe dovuto interessare, in un modo ideale, in un sé ideale. Per esempio ricordava uno degli
esempi che aveva portato: chissà perché, davanti al muso affilato del ruminante, gli era riuscito
quasi spontaneo di allentare la serratura a un pensiero che gli era roduto dentro forse per un paio di
mesi, da quando aveva ascoltato quelle parole che avevano continuato a ronzare fastidiose ogni
volta che incappava nello stesso campo semantico. Universitari, illustri suoi colleghi, certo più
sapienti e più intelligenti di lui, certo irrimediabilmente minacciosi. Dicevano:
l’autocommiserazione è obsoleta, si cresce, si supera quel solipsismo autodistruttivo, autolesionista,
narciso nell’affondare. Perciò Pollo era stato contento di poter parlare liberamente di fantasie tutto
sommato innocenti, in cui poter rivolgere esclusivamente a un’area protetta chiamata “se stesso”,
simile a un atollo di esperimenti atomici, tutto il thanatos in sovrannumero che si portava nelle
cellule per ereditarietà genetica, molto probabilmente. E in quella bestia si nascondeva un
immediato fratello. Per questo motivo, nonostante si fosse rivelato lamentoso, insicuro, preoccupato
dei giudizi altrui e intenzionato a giudicare d’anticipo come misura preliminare, gli era rimasto un
buon ricordo di quel primo incontro. Ne avevano discussi gli esemplari diversi e nobili: il metodo
delle corna rotte cadendo da un precipizio, da bocciarsi per i motivi ormai noti, cionondimeno