Entrando nel posto invisibile, la ragazza selvaggia in corsa sentiva cantare cicale di anormale grandezza,
grasse palle di metallo animale, costringevano a cantare le cose che non avevano mai avuto una voce -con
tutti i pori del corpo, spalancati come corolle di microscopica carne, riceveva e ascoltava la canzone dei
frutti scorzosi, degli aculei, delle schiume rutilanti sparse dai fluidi vegetali dischiusi forzosamente dalla
pressione del mondo sulle cose silenziose e inerti del giorno appena nato, pronte a sfinirsi e consumarsi in
eterno ed estenuante ciclo per tutta la permanenza del sole, fino alla fine del pomeriggio torrido. Una
canzone d’accettazione di cose gigantesche e intollerabili che a sua volta poteva essere tollerata solo
ascoltandola per metà, solo correndoci dentro e schermendosi con un vento artificiale, sferzante sul sudore
in lievi frustate fredde. Il primo gradino erboso della radura accolse il suo balzo con un tonfo di percussioni
che pose fine al canto impazzito sopra i suoi passi, le orme abbandonate dietro e già ricoperte di radici
brulicanti e fermentazioni minuscole e cose che non riuscivano a non contorcersi in danza espiatoria di tutti
i peccati commessi dalla calura e la sua persistenza.
(Non sei unica e stai per entrare, come entrano tutte, nella parte della vita in cui tutto è riflesso della tua
splendida ordinarietà, la poesia della tua consistenza identica a ogni altra particella dell’isola. Stai per
attraversare la soglia che ti porterà da quella parte dell’isola in cui sarai cosciente, finalmente, senza
ostacoli nel tuo saperti suolo, muschio, fanghiglia, sabbia, umidità e aridità. -questo volevano dire le
parabole della regina, mai pronunciate, che tuttavia continuavano a rimbombarle nel cuore come avesse
ingoiato un frammento di vetro in cui permanesse eternamente riflesso il volto bidimensionale della regina,
ritratto in incessante movimento delle labbra dischiudentisi in suoni di voce soave, parevano intessere
grappoli d’una tela nascosta che calava per ammantare ogni cosa. Ma in certi momenti, la regina
aggiungeva qualcos’altro a quella dottrina, dei post scriptum distribuiti con parsimonia. E la ragazza -
sicuramente come tutte le altre, perché così dovevano credere, questa era la fede- sentiva in quei momenti
che, proprio per lei, la regina schiudesse dalla schiena un suo doppio più umano, un’ombra della ragazza
originaria che anche lei era stata, che ritornava dal placido oltretomba della cancellazione temporale
soltanto per concedere a lei, lei soltanto, figlia e sorella, qualche commento consolatorio, delle pacche
provenienti da una che poteva capirla.)
(Sei una che sta per entrare in quella parte di vita e di isola in cui non è più “una”, è solo tante, ma, sappi,
da qualche parte rimane ciò che sei stata. L’isola non dimentica. E tu devi anche sapere questo per poter
accettare di non saperlo più. Il tuo corpo altrimenti reagirebbe. Deve sentire che un pezzo di sé è al sicuro,
come provviste lasciate sotto il fogliame di un posticino trovato da un animaletto indaffarato a traslocar di
tana, deve sentire prima di fare un passo verso una nuova forma di vuoto che le vecchie forme di vuoto
sono custodite da qualche parte. E allora ti dico che nel suolo dell’isola c’è tutto, solo che è spesso difficile
rinvenirlo, distinguerlo. E ci saranno anche il tuo animo buono ed eternamente paziente, l’ironia dei tuoi
occhi, la sveltezza di mani e piedi che ha confezionato furtarelli aggraziati e dispettosi al tempo stesso già
dai primi giochi infantili, e la corsa tua felice, i balzi, il coraggio che avevi nell’avvicinarti a toccare anche gli
animali più pericolosi, le creature tormentate che in agonia lanciano un grido nel buio. Staranno, tutte
queste cose, nella sabbia là sotto, con i carapaci dei crostacei sprofondati, le piccole ossa, l’acqua, minerali
onnipresenti, il calore delle cose non vive proveniente da incandescenze insondabili. Sei archiviata in un
ventre, che in realtà è il tuo. Non dimenticarlo mai.)
La radura era morbida e respirava a fondo a un ritmo accelerato, come se anche il tappeto erboso
percepisse la differente composizione atmosferica nella leggera altitudine del primo rilievo rilevante
dell’isola. Da lì in poi, s’aprivano le radure di montagna, l’entroterra montuoso dell’isola che la ragazza
aveva raggiunto correndo a una velocità inconsapevole, come il vento. Le esalazioni degli steli roridi e
virescenti solleticavano gli spazi tra le dita dei piedi affondanti nel terriccio. La ragazza, che qualcuno aveva
chiamato ladruncola, non dimenticava mai: quella sua memoria sarebbe rimasta intatta nel momento in cui
veniva dimenticata. Il rituale veniva a compimento: lo vedeva nelle cose che esistevano nel luogo raggiunto
seguendo la guida di un istinto che sconquassava dentro lei le pareti delle vene e dei sentimenti più