Per la seconda volta ricordò qualcosa senza sapere perché, qualcosa di distante. Una volta, nel tempo
lontano prima di quest’ultima avventura (forse sentiva vagamente che c’era già in atto qualcosa di fatale),
Hr gli aveva gridato contro, con molta violenza. Non era accaduto spesso, né che Hr lo facesse con lui -
anche se lo faceva più o meno però con tutti- né che, in generale, qualcuno gli si rivolgesse in un modo del
tutto privo di pazienza, privo di cortesia. Aveva indicato poi agli altri, sollevandolo con fare manesco, il
braccio di Dii, così esposto a quello che Hr evidentemente riteneva dovesse essere il pubblico ludibrio come
in un becero rovesciamento dell’annuncio di vittoria d’un campione. Guardatelo, guardatelo, l’evirato. Dii si
era rifiutato -sebbene non secondo le modalità di un rifiuto proprio esplicito- di essere della compagnia
composta da Hr e due affabili signorine, vestite di bianco e marrone scuro, dai grossi petti e la pelle
cosparsa di varie malsane escrescenze, piccole grandi tenere ripugnanti -Dii i dettagli li registrava e
ricordava e li sigillava in nicchie prive di ricamature superflue, e in questo consisteva il massimo del suo
possibile amore in una notte d’amore, e in questo consisteva la sua idea d’amore che avrebbe potuto anche
chiamare rispetto, senza affannarsi nel tentativo di comprendere che per qualcun altro potesse esserci una
differenza anche profonda tra i due concetti. Ma mentre davanti e tutt’intorno a lui aveva percepito
galleggiare nella poltiglia limacciosa dei fiochi lumi bruni della locanda tanti modi d’amare separati e del
tutto irraggiungibili, Hr aveva gridato, e gli avventori s’erano voltati in piedi o sugli sgabelli, in nuvole di
fumo e in ammassi incoscienti di schiene allineate sui tavoli, con Kiy che guardava distratto i riflessi vitrei
simili a occhi freddi d’orribili pesci abissali su un boccale posato casualmente sul tavolo al posto di fronte al
suo. E tutti erano vivi, tutti avevano conosciuto quella scena che Dii ricordava, senza motivo. Gli venne lo
stranissimo pensiero che potessero esser stati proprio loro, i “fantasmi”, a fargli ricordare. Mandargli un
qualche loro influsso. Proprio per il fatto che quella scena l’avevano vista, che era un momento che ancora
lo teneva collegato agli spiriti di tutti loro -Dii non credeva agli spiriti, perché le sue narici captanti, che
s’erano svegliate nella notte così da poter meglio percepire con precisione di cinghiale tutte le variazioni del
suolo e dell’aria, non li potevano recepire; ma forse i loro spiriti s’annidavano nei paraggi, in tutti gli angoli
rimasti oscuri per opporsi a quel mare di luce spettrale incantevole? Quell’isola li aveva chiamati. Dii non
credeva a queste cose mistiche, queste cose stranissime, ma non perché fosse come Hr. Lui credeva solo
alle superstizioni da marinaio come si crede, pur sapendole false, a tante frasi che si sentono pronunciate
dagli altri, in maniere spesso identiche o poco variate, in tante circostanze in cui si è all’interno di un
gruppo. Dii non dissacrava niente, c’era devozione nel suo ateismo.
Vennero un ruggito, graffi acuti del vento. Un richiamo lugubre che non aveva mai sentito. E la risacca, che
non aveva mai abbandonato la sua spiaggia. Un tonfo, certamente frutti di scorza dura cadenti sulla sabbia.
E i passi, che ricominciarono a seguire la linea della costa.
Crostacei piccoli come ragnetti si sparpagliavano, sparse famigliole di pochi membri, stanche nella
lontananza dalle ore del giorno che avevano riscaldato nei loro organi interni l’acqua di mare raccolta e
filtrata attraverso complessi listelli pulitori. Una testa di medusa, brillante, figlia viscida della luna arenata. I
piedi di Dii avanzando sfioravano tutto questo. Un’anemone anche, pure lei morta e spiaggiata. Se si fosse
arenata lì una creatura più grossa, vi avrebbe forse scorto una singolare disperazione, dovuta alla perdita
dell’orientamento. Dii pur redigendo senza sosta mappe e carte mentali, sapeva che quell’isola era ormai
già al di fuori da qualsiasi mappa, qualsiasi carta nautica, qualsiasi forma d’informazione diffusa. Eppure
non avvertiva contraddizioni in questo: il cuore gli balzava già, avanzando diligente insieme ai passi e
pompando sangue in salute, ben al di là degli smarrimenti dovuti al contatto con ciò che anche lui
inizialmente trovava strano. Ateismo magico.
Dii, rientrato verso la soglia della foresta e ritornato a marciare senza affanno lungo il suo perimetro, senza
affatto percepire le spire di stanchezza che gli si andavano attorcigliando ai calcagni, rallentò sotto
un’arcata di fogliame lungo e cadente, simile al fare lacrimoso dei salici, e fermandosi lì, quasi vezzeggiato
dal fruscio, vide Hr e una donna indigena, su una spiaggia distante, seduti a conversare (per quanto fosse Hr
soltanto a parlare, Dii sentiva che nessuno avrebbe potuto negare che anche lei fosse parte di qualcosa che