un po’ come ti pare, anche se credo che hai perso la capacità di pisciare e cacare e addormentarti sdraiato
per terra come gli uomini. Comunque: quando ci voltiamo, per ritornare vicino a questo masso, niente
gatto.
Non era un ordine, e nemmeno una cosa da prendersi troppo sul serio, ciononostante eseguirono tutti
spontaneamente. Dii, il più avvezzo alla compagnia degli animali, afferrò con la grossa e bitorzoluta mano il
ventre chiaro del gatto, che si avvoltolò al palmo in morbidi lembi come gli strati di pieghe d’un profumato
lenzuolo. Hr andò verso il mare, come aveva detto, sfiorando con le dita per gioco la superficie del grosso
masso attorno al quale la via si biforcava definitivamente, un particolare loro sfuggito. Kiy rimase a
guardare lì per terra. Se ne sarebbe accorto poco dopo. In quel momento aveva solo una strana
impressione tattile nei dintorni del cuore. Oltre la base del grosso masso, a tratti rotonda e a tratti
spigolosa, si dividevano più nettamente la spiaggia e il prato: sulla sinistra la sabbia si riempiva
progressivamente di sassi neri, finché questi non lambivano come tanti idolatri inginocchiati le pendici di
una sporgenza di roccia scura d’aspetto vulcanico, ostruente del tutto i passi umani e gettata a forma di
rostro nel mare, quasi frangente la terra a metà; sulla destra invece la via s’inerpicava appena, coprendosi
d’erba, e un chiarore poco netto ma decisamente visibile sotto questa tracciava un magro sentiero ricurvo
verso un’apertura tra gli alberi. Pareva che entrando lì e camminando per un po’ si potesse aggirare
l’ostacolo, attraversare i boschetti e giungere oltre il minaccioso costone minerale, sbucare dall’altra parte
della spiaggia. Un simile cancro era disegnato sulla mappa. Non c’era invece nessuna indicazione di quel
masso, segnalatore e guardiano della separazione della strada. Kiy pensò che s’avesse disegnato lui quella
mappa, gli avrebbe perlomeno dedicato qualcosa, simboli. Un disegno d’un altare, dove si compivano
sacrifici, e attorno al quale un tempo, forse, qualcosa danzava… c’era perfino un sottile strato di muschio
sulla cima di quel masso grigio-celeste, quel grande masso molto bello. Dio di roccia.
Kiy si voltò a sinistra e vide Hr a gambe divaricate verso le onde verdi e grigie. Si voltò a destra e vide Dii che
tornava indietro. Aveva posato il gatto a un margine della foresta leggermente più fitto. Assorto, come
appena scosso dai suoi pensieri riguardanti il masso e ignaro di quanto tempo gli avesse dedicato, si diresse
secondo istinto incontro all’amico che ritornava. Ovviamente, non si scambiarono nemmeno un cenno. Kiy
lo superò e divenne chiaro che andava verso il gatto. Erano diversi: per Kiy gli animali erano soltanto
simboli, allegorie di fiabe della terraferma; Dii sapeva che era possibile toccarli, sapeva prelevarli dal suolo,
collocarli su altri punti del suolo, addomesticarli, liberarli. Ma non disse niente. Fu il primo a ritornare al
masso.
Evidentemente era un gatto destinato a rinselvatichirsi, dopo averli accompagnati per un certo tempo. Ma
aveva avuto un senso, quel tempo? Hr aveva sentenziato che non dovevano ricreare le cose come erano,
niente più gatti al seguito dei marinai. Kiy era giunto vicino al punto in cui le ombre dei tronchi ritornavano
al loro interno, orobori, tenebre solipsistiche. Il felino era seduto come lo era stato in spiaggia. Nelle vicine
ombre qualcosa si mosse: forse degli uccelli c’erano, a ben sentire. Uccelli neri, raggi di sole, contrasti di
colore sul margine degli alberi. Kiy ascoltò in silenzio, lo sguardo sempre più vitreo posato sulla presenza
enigmatica del gatto. Che si mise a fissarlo. Lo vedeva, non c’era dubbio. Cicale ingrossavano agitate il
proprio fragore dal fondo lontano d’un polmone nascosto oltre l’intrico, sentendo l’approssimarsi di
invasori dell’isola. Una musica d’accoglienza oppure un allarme. Kiy ascoltò in silenzio, sparendo dentro di
sé. Si svegliò e vide il gatto che, dandogli le spalle, deambulava con la perfezione d’un predatore
specializzato, senza alcuna mossa superflua, verso il fitto d’arbusti più vicino. Ondeggiava ipnotica, destra e
sinistra, la punta nera della coda. Prima di sparire, si voltò. Un’ombra rabbuiò all’improvviso la parte
superiore di quel piccolo volto triangolare. Un’ombra che a fissarla a lungo avrebbe reso folli. E insieme a
questa, quasi fosse un’estensione della stessa misteriosa oscurità, appariva un impercettibile fremito di
vibrisse parallele preannunciante l’apertura della bocca rosa. La bocca si aprì e non ne uscì un miagolio.
-voglio dirti solo questo: fra poco incontrerete le donne. E, forse, dopo di loro altre cose ancora. Ti saluto,
può darsi che ci rivedremo. Ma non importa.