annaspanti nel momento in cui finalmente decide che la profonda lancinante costernazione datagli dalle
contraddizioni di sé e di tutto non lo fermerà dal tuffarcisi e gridare, gridarci dentro tirando bracciate in un
mare di schiuma rossa. Sole esplode. Corpo s’apre. Nel mare sta nuotando come allora, quando era un
pesce un mostro un uccello d’acqua un guizzo un barlume immerso sciaguattante nel ventre ondoso d’una
tempesta nera e verde e gialla. Tuoni elettricità acqua, acqua non smette di gonfiarsi come un cadavere che
avviluppa metà del globo. Produce mostri nella coscienza.)
(Senza segnale l’occhio vitreo. Scatta in un istante la testa di serpe. Si ritrae subito dov’era, galleggiante a
mezz’aria in fondo al collo. Nessun mutamento.)
(Gode Kiy che guaisce ultrasonante di fianco a una cresta spumosa della sua spalla, zampilli rossi verticali in
aurora australe sprigionata dal morso. S’ode il trambusto del corpo ingombrante, la creatura marina che,
dopo aver morso e ferito, se ne va, ruota tutta la sua massa un goffo strattone alla volta per far dietrofront
verso le onde, e letargicamente immergersi. Nessun volto dietro di sé, disegnato falso sul dorso, sulla coda.
Gasso cilindrico muscolo remigante. Il suo volto mai più si vede e la sua sagoma per l’ultima volta appare,
alla coscienza del mondo in veglia, come nient’altro che uno sparuto insieme di collinette carnose, forse
soltanto ciarpame galleggiante in cui non si può esser mai certi di riconoscere un essere vivente, un
mistero, un ennesimo miraggio. Così se ne va e sembra aver vergogna, non voler esser visto dopo quel che
ha fatto. Senza volto rivela il suo sentire. Padre d’acqua.)
(E il sangue non s’esaurisce. E Kiy in piedi, davanti alle onde rimaste vuote, davanti alla schiuma riversata di
continuo. E non s’esaurisce proprio come la sabbia, e Kiy in piedi, braccia a parte, senza esaurire le grida
della sua nuova voce, indolore, custode del dolore più grande e della selvaggia gioia d’averne fatto un
amante e un amuleto suturato alle pareti interne, tra i tumori e le scuciture purulente e le oscurità che
potrebbe veder solo entrandosi dentro munito d’appendice bioluminescente, esca, occhio. E il mare lì
dentro è strati sovrapposti di ciechi abissi imperturbati, e il mare là fuori ruggisce, no, è una quieta risacca
d’un giorno normale, è Kiy che lo sente ruggire, e si sente ruggire, braccia sollevate, vento e mare e detriti
microscopici volano arrangiando e disfacendo nell’aria a ogni istante fasce d’asteroidi che danno alla pelle
un prurito granuloso, lascia tracce di polvere al suo passaggio. Come quando un bambino già adolescente
già innamorato del distacco vide il mare la prima volta. Volgendogli le spalle, una patina sulle piccole dita. Il
ricordo diventa qualcosa che si scompone nell’illusione inebriante d’essere un fatto sensorio, gelosamente
mantenuto in cima a un polpastrello. Croci e fari in cima a promontori.)
(E Kiy guarda il mare e il cielo, e finalmente in piedi così resta, e la sua ombra rotea, rotea a infinita velocità
accelerata dal suo vedere e sentire sul suolo torrido giallo, fendendo poi il mare, allungandosi sulla sua
superficie fino alla linea turchese dell’orizzonte visibile acceso a giorno, fino a dove mai era potuto arrivar
nulla, è lui, il primo uomo a toccare l’orizzonte senza raggiungerlo, il sogno d’infanzia e dei giganti, è lui,
esploratore, pioniere, eroe, rovesciamento. E Kiy è in piedi e Hr è prostrato, e Dii è in piedi e nella sua
ombra cominciano a strisciar liane.)
(Dii non ha rimpianti. Dii non ha fatto niente. Dii ha assistito, ma senza capire. È forse questo un rimpianto?
Si sorprende a desiderare la presenza dello strano felino selvatico lì con lui, che possa rassicurarlo con un
rumore misterioso, vibrazione nascosta alle indagini d’ogni scienza. Gatti d’alchimia. Un gigante gatto,
leone giallo e bianco sintetizzato dall’ibridazione fittizia di gatti selvatici delle isole reali e leoni di dipinti e
bassorilievi nascosti nei raggi solari, un giorno s’alzerà verso il cielo e divorerà il sole. Pulsa una simile scena
nel calore custodito al centro del piccolo corpo, appena al di là del pelo tiepido e morbido. Vibrazione. Dii
sente la mancanza di una vibrazione. Come ricordo, finto sensorio, sulle dita ancora un alone colloso di
feromoni. Tanti tocchi di felini mutaforma. I brividi che aveva avuto nella notte, irrelati alla temperatura.)
(Presto lo avvolgono le spire che hanno cominciato a crescere. Solo attorno a loro, a Dii e Hr prigionieri
dell’invisibile, è riapparsa la grotta. Forse non ne erano usciti, forse è stato solo Kiy, con un trucco o un
ipnosi, ad avergli fatto vedere la roccia e il calcare sbriciolarsi in polvere accecante. Perché Kiy era voluto