perdeva infine in fantasticherie sulle strane creature provenienti dalle terre vicine a quelle di Kiy Dii e Hr,
sulle cose che doveva aver immaginato fossero nelle loro esistenze per poterle definire, tra sé e sé,
“sperdute” e “devote”. Certo, era in uno stato di semicoscienza, come colui che ogni tanto
meccanicamente l’accarezzava, e non sarebbe stato capace né avrebbe desiderato di spiegare questa
intuizione; ma in sostanza s’era immaginato che quegli antenati di Dii e antichi pionieri dell’oceano, sul
veliero per giorni e giorni o perfino anni di quelle loro vite sempre ossessionate dalle sabbie delle clessidre,
emanando le loro vibrazioni captate dalle isolane -che così appresero le “descrizioni”- emanassero al
contempo uno strano, sorvolante canto di speranza. Erano vertigini, erano voli inimmaginabili perfino per le
aquile di montagna, erano note del tutto illusorie, che credevano di raccontare a sé stesse di poter
diventare fuoco, e del quale le lingue di fiamma potessero diventare a loro volta messaggio,
comunicazione, e così farli cantare in modo che fossero ascoltati da tutti i popoli più distanti che avrebbero
incontrato nel loro peregrinare stremato sulle acque senza limiti. Convinti, parevano al gatto, di tutto ciò:
ma sapeva che la speranza loro, così piena di fede gialla di luce, era figlia di terrore, brama, ferite dalla
forma strana che nessuna comunissima bestiola dell’isola com’era lui avrebbe mai potuto interpretare.
Eppure sapeva anche che quella speranza era così cieca da riuscire in alcune sue parti, quasi urtasse
sbadatamente dei significati che non erano quelli che andava cercando: insomma, quel veliero di giorni
lontani era infine riuscito davvero a insegnare, dall’orizzonte marino, una nuova danza alle ninfe straniere a
piedi nudi, sbraccianti sulla spiaggia, puntolini minuscoli sulla terraferma.
Questa era la sciocca ed esagerata storiella -perché così lui stesso l’avrebbe descritta, apprendendo
silenziosamente dal padrone il modo in cui presso loro s’usava descrivere tali fantasticherie- che il gatto
selvatico raccontava a se stesso, costruendosi da sé l’idea di cos’erano loro, ispirata dai racconti, i colori
riferiti di villaggi, vallate, campanili, vetrate e mosaici, piazze, fontane, navi, infinite altre navi come quella
dell’origine, del mito appena inventato. E beandosi come uno scemo del suo idillio, s’accarezzava e leccava
nel punto in cui gli s’annidava quella parte di timore di un ignoto incombente insito nella danza,
lenendoselo del tutto.
Forse in lui si celava un esemplare scriba. Se solo il mondo non fosse stato sul punto di farsi inghiottire dalla
morte del sole… chissà, sarebbe potuta anche nascere una di quelle “civiltà” che avevano prodotto le assurde
“città” su quelle coste che gli pareva di conoscere, con presunzione e un certo grado di inscalfibile, in fondo
non erroneo, senso d’aver proprio ragione. E in questo sviluppo, questo andamento sconosciuto delle cose
che si sarebbe verificato anche là se ci fosse stato il tempo, lui cos’era? Nella società così nata, cosa sarebbe
stato? Un bardo, un poeta, uno scriba: le sue traveggole riguardo cosa fossero quei giorni da lui vissuti, le
avrebbe incise con gli artigli nell’argilla rubata dalle assai scarse superfici d’acqua dolce nell’entroterra, dai
nidi di tartaruga. E sui loro carapaci avrebbe con parole di leggenda eretto le colonne del mondo,
convincendo le generazioni future che proprio così stavano le cose. I suoi occhi a fessura che ancora per
millenni attraverso il futuro sarebbero rimasti nascosti a osservare come fantasmi rintanati nelle ombre di
tutto quanto, di tutto il pensiero e tutta la sapienza… il felino chiudeva di tanto in tanto gli occhietti facendosi
grattare il cervellino da imbecillissimi -così li reputava, non riuscendo però a fermarsi- improvvisi sogni di
gloria. E riaprendoli vedeva la danza, trovandola altrettanto balsamica per il suo gusto per l’intrattenimento.
(-….questa è una bella danza, sì. E va bene assistervi.)
(-nelle feste non hanno mai danzato così. O forse sono io, strano stasera, strano in sera strana. Sarà perché
c’è lui. Buon padrone. Buon uomo, sì, possono esistere uomini buoni: ricordo quello che disse quella
libellula.. ma sarà credibile, una libellula che attraversa il mare e torna indietro? Comunque sia… aaah, sto
pensando anch’io in questa maniera. Stanno innescando qualcosa, loro… influenzano. Ma non come
credono o vorrebbero. O forse non vogliono nulla… non lui comunque, non fa nulla apposta. Mio buon
padrone, brav’uomo. Però qualche effetto lo sta avendo anche lui sulle femmine, che… ahh, non capisco.
Non posso capire. Posso solo… certo, ho trovato: posso solo guardare la danza: perché è questo il loro
scopo: è così che si ascolta una descrizione.)